In un suo quadro, il volto della “Ragazza con l’orecchino di perla” si apre in uno squarcio occupato dalla scritta ‘veemente’. Nelle sue tele appaiono qua e là aggettivi, frasi fatte o espressioni di semplice uso quotidiano che, mescolati all’artbrut e alla streetart, formano collage caotici in cui mi ci perdo volentieri, quasi sempre sorridendo e pensando.
Come mi dicevi, hai un bel ricordo della fase formativa con il M° Giuseppe Signorile (1927-2016).
Artista, prima che maestro, Signorile aveva conosciuto Picasso, De Chirico e altri importanti esponenti dell’arte pittorica di tutta Europa. La sua personalità era un po’ bizzarra e le sue lezioni caotiche. Eppure, in quel caos, ho imparato tanto.
Inoltre, ricordo la sua bottega – L’Ippogrifo – come un fantastico melting pot: era frequentato dalle persone più disparate e questa diversità la rendeva un posto unico.
Un laboratorio che hai faticato un po’ a trovare…
Sì, perché la maggior parte degli atelier in cui mi imbattevo erano focalizzati sulla ritrattistica. Ma non ero – e continuo a non essere – interessato a quel tipo di approccio.
Finché, un giorno, ho trovato su internet un annuncio di un’allieva del maestro Signorile, Silvia Belviso, un’artista che stimo molto e che, finalmente, mi introduceva in un contesto che faceva più al caso mio.
Delle lezioni del maestro Signorile, ce n’è una che ricordi in modo particolare?
Quella sui tre requisiti fondamentali che contraddistinguono un’opera d’arte, ovvero la tematica, che è il soggetto dell'opera; la problematica, cioè la tecnica con cui la si realizza; e la poetica, ovvero il significato della stessa, ciò che vuole comunicarci.
Osservando le tue tele e riprendendo le parole del tuo maestro, sembra che tu ti sia focalizzato molto sulla “poetica”.
È così, ma su quel che voglio comunicare io resto piuttosto criptico. Preferisco che il fruitore dell’opera ci veda quel che vuole innescando in sé stesso una sorta di lavoro introspettivo. In questo modo, dai miei quadri scaturiscono infinite possibilità di interpretazione.
Dunque, se ho be capito, dipingevi in uno stile molto simile a quello di Basquiat anche prima di scoprirlo (si tratta di uno dei più importanti esponenti del graffitismo americano, vissuto tra il 1960 e il 1988).
Me lo fece notare per la prima volta una mia amica, anni fa, e da quel momento lo hanno fatto in tanti. Ne sono davvero contento perché mi rivedo in lui: nella sua “semplificazione” riesce ad esprimere più di quanto si potrebbe adottando canoni più convenzionali. Sembra che disegni come un bambino e questo somiglia molto al mio modo di guardare le cose: semplificandole, con occhio sincero, diretto.
Tra le mostre a cui hai partecipato, ricordi con particolare piacere “ArtBrut22”…
Partecipare alla mostra e ai laboratori dell’omonimo collettivo è stata un’esperienza indimenticabile. ArtBrut22 promuove percorsi di inclusione sociale, includendo i membri del Gruppo Phoenix che è un ente di riabilitazione psichiatrica di Rutigliano (BA).
Le opere sono sempre esposte e accessibili a tutti sia online che all'interno delle sedi del Gruppo Phoenix. Come noterai sul loro sito web, si tratta di un bellissimo pot-pourri di tecniche e mondi creativi (http://www.artbrut22.com/artists).
Grazie mille per aver partecipato a
Le Microinterviste, Michele!
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